Illegittima la proroga delle concessioni idroelettriche e l’obbligo di pagamento di “canone aggiuntivo” da parte dei produttori di energia idroelettrica. Un ping-pong di carte bollate durato 15 anni.
Lo scorso 2 dicembre la Corte Costituzionale emette un’importante sentenza, per nulla positiva per i Comuni montani, che dichiara illegittima la proroga delle concessioni idroelettriche ottenuta dai produttori di energia nel 2015, come pure l’obbligo del pagamento di “canone aggiuntivo” da parte degli stessi produttori.
Tutto inizia nel 2005, quando lo Stato introduce una norma (L.266/2005, art. 1 c. 486) che prevede la proroga di 10 anni delle concessioni idroelettriche. A fronte di tale proroga, la norma prevede che i produttori di energia idroelettrica debbano versare ai Comuni ove è situata la centrale un canone aggiuntivo per quattro anni, ossia dal 2006 al 2009.
Per la cronaca, tale canone è un canone “aggiuntivo” e non ha niente a che fare con i canoni rivieraschi, i sovracanoni BIM e i canoni demaniali o concessori (questi non sono minimamente interessati da questa vicenda).
Tuttavia, nel 2008 la Corte Costituzionale (sentenza n°1/2008) dichiara illegittima la norma che prevede la proroga delle concessioni idroelettriche per 10 anni, nonché l’obbligo di pagare il “canone aggiuntivo”.
A fronte di ciò, lo Stato, per evitare che i Comuni siano chiamati a restituire i canoni nel frattempo incassati negli anni 2006 e 2007, introduce una norma ad hoc (art. 15, c. 6 quinquies, del decreto-legge 31/05/2010, n.78) che consente agli enti locali di trattenere le somme incassate. E ciò, anche nel caso in cui i concessionari dovessero chiedere espressamente la restituzione.
Se non che, A2A (concessionaria dell’impianto nel Comune di Montereale Valcellina) ricorre al TRAP, per chiedere la condanna del Comune a restituire le somme incassate, ritenendo costituzionalmente illegittima la norma che vieta la restituzione.
Il TRAP, a quel punto, rimette la questione alla Corte Costituzionale.
E così arriviamo alla sentenza n°256 del 2 dicembre 2020, che dichiara illegittima la norma statale che consente ai Comuni di trattenere i canoni.
E ciò, ad avviso della Corte, perché tali canoni erano stati pagati per poter fruire della proroga introdotta dalla legge del 2005.
Ma attenti, essendo quella proroga illegittima (a fronte della sentenza n.1/2008 di cui sopra) lo è anche il canone che, a fronte di tale proroga, era dovuto.
Insomma, venuta meno la proroga, viene meno anche la ragione del canone, e lo stesso, dunque, secondo la Corte Costituzionale, va restituito al concessionario.
La situazione appare paradossale. Guardando la realtà dei fatti, è vero che la norma sulla proroga è stata dichiarata illegittima, ma è un puro formalismo, visto che poi, di fatto, i concessionari hanno continuato a gestire gli impianti ben oltre la scadenza delle rispettive concessioni, e continuano a farlo ancora oggi.
In altri termini, la proroga, seppur cancellata sulla carta, nei fatti si è realizzata e continua mediante lo sfruttamento di una risorsa territoriale.
La situazione che ne consegue è questa: i concessionari continuano a gestire gli impianti con concessioni ampiamente scadute (in barba alle regole comunitarie che obbligano al riaffido delle concessioni: la mancanza di questo obbligo porterà l’Italia ad essere sanzionata dalla UE); la proroga, cancellata soltanto sulla carta, peraltro con gravi conseguenze finanziarie per i Comuni, in realtà si è realizzata.
“Così è, se vi pare…”